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RIFUGI

Stagione estiva 2021
Teatro Piccolo Orologio, Reggio Emilia

direzione artistica Angela Ruozzi

Era da tanto che cercavo di ricordare da dove provenisse l’idea del teatro come rifugio. Poi recentemente ho riletto Chi è dunque l’altro? di Marc Augé e ho ritrovato quel riferimento culturale che avevo dimenticato. Lo riporto qui perché le sue parole, meglio delle mie, possono spiegare il senso di una stagione come questa, che si ri-apre al quartiere e alla città come spazio di mediazione culturale e occasione di incontro, tanto piccolo quanto prezioso. Il Capitolo in questione si intitola La mia capanna in Canada o altrove

 

"Poiché resta un sogno di bambino, la capanna, rannicchiata nel fondo del nostro immaginario, permette di ritrarre, come un’opera d’arte, l’ideale di una relazione intima tra esseri umani. Nelle nostre storie di infanzia c’è sempre una capanna: quella che costruivamo nel bosco vicino al paese in cui andavamo in vacanza, quella di Robinson Crusoe, quella dei romanzi di Jack London. Quello che ci attirava e che continua a sedurci nell’immagine della capanna è la doppia e paradossale mossa che consente: il ripiegamento (è piccola, è fatta a misura dell’individuo o della coppia che vi si rannicchia) e l’apertura (non appena spinta la porta, aperta un po’ la finestra, la natura è là, accogliente o minacciosa, sempre un po’ misteriosa, tenuta a distanza da qualche asse fragile ma efficace, che tuttavia ne lascia filtrare i profumi, i rumori, il respiro). La capanna è il lusso dell’individuo che ne fa il suo spazio personale e vi gode di una libertà completa, anche se lo spazio è ridotto e il tempo limitato. La capanna non è destinata ad essere abitata, ma al fare: il boscaiolo, il pescatore, il cacciatore possono avere una capanna. Essa consente il sogno e risveglia i sensi solo a condizione di servire a qualcosa; i bambini l’hanno capito e non inventano capanne se non per fare giochi di ruolo. La capanna è un simbolo. Si sa e si vuole un’immagine, un’immagine che viene mostrata agli altri, non tanto perché facciano finta di crederci, ma perché vi riconoscano, vi ritrovino qualcosa dei loro desideri. La capanna è dunque un’immagine, un simbolo che unisce. O, detto altrimenti, un’opera d’arte". 

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